Ogni tanto l'editoria (diciamo un po troppo spesso) partorisce qualche "fenomeno letterario" che, in genere, si fende colpevole di infliggere durissimi colpi al genere al quale , a ragione o torto, viene associato.
Un paio di anni fa è stato il turno della letteratura erotica, trasformata in un immonda barzelletta da "50 sfumature di ecc." e i suoi vari emuli.
Quindi, trovandosi davanti questo titolo, viene abbastanza naturale essere colti dal timore di essere incappati nell'ennesima storiella ridicola e priva di spessore.
Nulla di più lontano dalla realtà, per fortuna.
Sara, la protagonista (e voce narrante) di questo romanzo, non è un ingenuotta fuori dal mondo e Ginko (il suo master) non è un ricchissimo stalker dal background senza senso.
Sono persone come tante, come ne possiamo incontrare tutti i giorni, per strada, seduti al tavolino di un bar a bere un caffè, seduti accanto a noi in autobus.
Sara, in effetti, viene da una famiglia borghese, ha un buon lavoro in banca, un fidanzato perfetto, da rivista patinata e un'insopportabile vita soffocata in nuvole di zucchero filato.
È per caso che incontra Ginko anche se forse è un miracolo che i due si riconoscono per quello che sono: una slave e un master.
Questo incontro travolgente è l'occasione, per Sara, di dare una nuova direzione alla sua vita, di poter finalmente scegliere la propria strada ed accettare la propria natura.
Non ci sono stupidi contratti al limite del criminale, quello che nasce tra Sara e il suo Master è un gioco, nel quale entrambe le parti accettano consapevolmente il loro ruolo e le pressioni, quando ci sono, vengono dal mondo esterno, quello delle persone "normali", incapaci di capire o accettare che esistono modi diversi d'amare, ne migliori ne peggiori degli altri, di quelli che la società può accettare senza scomporsi.
Di questo si tratta, di una storia d'amore e accettazione reciproca che va oltre quello che si riesce a vedere in superficie, che sia gioco o sesso fine a se stesso.
Un rapporto tanto solido da riuscire a superare ogni ostacolo, anche quelli che, quando la protagonista ci si trova intrappolata dentro, paiono insuperabili e tali da annientare.
Aurora D'Evals, da l'impressione di sapere molto bene di cosa parla, non vi è banalizzazione, in ciò che scrive, al punto che alcuni passaggi, per lettori "vanilla" come la sottoscritta, di primo acchito appaiono un po disturbanti (Se vi aspettate solo qualche sculacciata, meglio che lasciate perdere, insomma).
Il racconto, nonostante sia narrato in prima persona, è fluido, le pagine scorrono via, una dietro l'altra, quasi senza che ce ne si renda conto. Lo si prende in mano e lo si finisce, perché si vuole sapere. Qual'è l'evento traumatico al quale Sara, spesso, accenna, quasi soprappensiero. Quand'è che il guinzaglio si spezza e perché?
Perché sì, le cose cattive succedono, ma non all'interno del gioco. Nel gioco puoi raggiungere il limite, ma puoi anche fermarti.
È quando da quello che succede al di fuori che non ci si può proteggere.
Forse si potrebbe obiettare che molti personaggi rimangono sullo sfondo, appena tratteggiati, ma questo è dovuto al fatto che Sara si concentra solamente su quello che le è necessario, per narrare la propria storia.
Storia nella quale alcuni entrano solo come comparse, pronunciano le loro battute, eseguono i gesti a loro assegnati e poi escono di scena. Va benissimo così.
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