Recensione
Il boss della camorra è un Grande Fratello
Bruno Quaranta, Tuttolibri - La Stampa
Una risata non seppellirà la camorra. Ma forse l’ammaccherà. Goccia dopo goccia corrodendone il monumento. Nel nome dello Zio, l’esordio di Stefano Piedimonte, questo è, sin dal titolo: un tiro al bersaglio con l’arma impropria, così inesorabile, della caricatura. Una girandola di parole plastiche. È come se una misteriosa matita scortasse il lettore, immediatamente rappresentandogli i personaggi e le comparse che via via entrano in scena, facendone risaltare questa e quella slabbratura, questo e quell’anello mancante.
Stefano Piedimonte non dimentica - narrando - di essere un giornalista, più precisamente: un cronista. Sa, cioè, quando cambiare marcia, quando non indugiare di fronte allo specchio, quando andare a capo, quando tenere a bada gli effetti speciali. Nel nome dello zio accoglie, forse non a caso, una riflessione sul mestieraccio, sulla sua ahinoi mutata natura, ieri in diretta oggi ebbro di virtuale: «Si aspettavano una pioggia di tac, tac, tac, tastiere fumanti [...], e invece rimanevano delusi da un coro di effeminati clic, clic, clic».
Nuvola dopo nuvola (Nel nome dello Zio è un inconsapevole fumetto, didascalico eppure pirotecnico, Napoli - dov’è ambientato - oblige), Stefano Piedimonte ritrae il Boss dei Quartieri Spagnoli e il mondo a lui attorno, qua e là pennellando una «filosofica» guida cittadina: «...la conformazione stessa di quei vicoli, di quei palazzi uno accostato all’altro a ostacolare una vera attività di prevenzione...».
Lo Zio ha una serpe in seno (che lo denuncia agli sbirri) e una passione infrangibile, il Grande Fratello, di cui non perde una puntata, costi quel che costi, il rinvio di un’esecuzione capitale come di un affare a tanti zeri. Sfuggito alla cattura, latitante a sei ore di treno da San Gennaro, nell’albergo-bunker il Boss riceverà dalla Casa il messaggio. A rivelargli chi lo ha tradito sarà il pusher Anthony, ossessionato dalle «sopracciglia di gabbiano» (i napoletani che «camminano parlando non a se stessi, ma al loro corpo», chioserebbe Domenico Rea) e da una brusca «formazione» nel seminterrato dei Quartieri.
Ma Anthony ha indicato il bersaglio giusto? I delitti che ispira si potevano evitare? Qualcuno (magari qualcuna, cherchez la femme) miracolosamente sfuggirà all’ira dello Zio? (Che tenerezza fa pensarlo decenne, quando si guadagnava il pane appiedando gli acquafrescai con le spine dei fiori...). Può - ecco la possibile morale - ambire alla verità un mondo che, nello schermo e fuori, campa contraffacendola? Il Luigi Compagnone di Mater Camorra, che avrebbe stretto la mano a Stefano Piedimonte, non esiterebbe a chiamare in causa lo stesso autore, se stesso in primis: «Quanto allo scrittore, egli è spesso tormentato dai rimorsi della coscienza, ma questo non gli impedisce di fabbricare la sua parte di falso. E ciò è molto aderente alla realtà. Perché, a pensarci bene, sotto tanti aspetti siamo tutti anche dei falsari...».
