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Il libro di mia madre Copertina flessibile – 1 ottobre 1992

3,6 3,6 su 5 stelle 16 voti

Vol. in -8 (14 x 21 cm.), legatura editoriale cartonata col. ocra, sopracopertina bianca lucida con titoli in marrone e verde sul piatto e al dorso, pp. 167, (9). In buone condizioni (disponibilità: 2 copie).
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Descrizione prodotto

Recensione

Un rimorso di Cohen: lo scrittore al sicuro a Londra mentre la donna muore in una Marsiglia dominata dalle SS

Giovanni Bogliolo, Tuttolibri - La Stampa

Albert Cohen è uno scrittore tragico che nasconde ed esorcizza la sua visione cupa dell' esistenza col fasto dell'invenzione o con la deformazione parodistica: in Bella del Signore ha messo al centro di una stendhaliana chasse au bonheur un personaggio assillato dal senso della caducità e dal rimorso di avere tradito per una miserevole passione terrena la missione messianica a cui era destinato; in Solal ha celebrato la propria ebraicità dando vita all'irresistibile Mangeolous e al corteo caricaturale dei "Valorosi" di Cefalonia. Si può dire anzi che su questo scarto o contrasto fra tensioni ideali e soluzioni espressive il narratore abbia costruito la sua forte originalità, riuscendo a far convivere in un linguaggio al tempo stesso veemente e sfarzoso l'empatia e la derisione, il lirismo e la beffa, l'amarezza, la commozione e l'autoironia. Solo in due casi questa laboriosa alchimia non gli è riuscita e la visione tragica non si è lasciata bilanciare dall'intenzione lirica o da quella comica. Ma si è trattato in entrambi i casi di esperienze traumatiche o di emozioni troppo cocenti perché potessero subire una qualche decantazione nei tempi lunghi della scrittura.
Traumatica quanto una iniziazione è stata l'esperienza del giorno del suo decimo compleanno quando un imbonitore da fiera lo ha apostrofato "sale youpin" distruggendo la sua ingenua fiducia negli uomini e annunciandogli un destino di emarginazione. E a distanza di tanti anni, quando ha provato ad esprimerla nelle pagine di
A voi fratelli umani, Cohen l'ha ritrovata intatta dentro di sé. Un grido di dolore cocente e immedicabile è stata l'emozione che gli ha dettato Il libro di mia madre.
Nel gennaio del '43, quando sua madre è morta in una Marsiglia ormai in balia delle retate della Gestapo, lo scrittore si trovava al sicuro, a Londra. Quello che gli ha strappato la funebre notizia e che ha pubblicato nell'immediatezza del primo getto sotto il titolo
Chant de mort sulla rivista degli esuli francesi, France libre, è stato un grido di dolore, di rimorso, di disperazione, di rabbia. Il libro di mia madre che i lettori di tutto il mondo conoscono come il più struggente canto della tenerezza filiale ne costituisce una riscrittura attenuata e più sapientemente orchestrata che Cohen ha preparato dieci anni dopo per l'editore Gallimard: in essa il grido di dolore si è ormai modulato in una lamentazione funebre, il rimorso si è stemperato in rimpianto, la disperazione ha trovato conforto nella tenerezza del ricordo, la collera non alimenta più la bestemmia e la ribellione contro un Dio che nell'accecamento dell'angoscia aveva voluto considerare nulla più di una "fandonia ebraica che i gentili hanno preso sul serio".
Anche la ribellione contro la scrittura e sue bellurie che aveva il sapore di un rinnegamento e si manifestava con volontarie negligenze stilistiche si riassorbe nella denuncia della futile vanità di tutte le risorse che l'uomo può mettere in campo contro la morte: "Sì, le parole sono la mia patria, le parole mi consolano e mi vendicano. Ma non mi restituiranno mia madre". Le sfasature del lessico e della sintassi che ancora sussistono nel
Libro di mia madre, le aggettivazioni inattese (il "burbero sonno di terra" dei defunti o meglio dei "supini reggimenti di silenziosi che furono vivi", il "poetico" piacere di un aspirapolvere, la "desertica" verità ), le analogie visionarie (la folla di un autobus composta di tante "piccole voglie di vita", la mamma assimilata a una "Gerusalemme vivente", le tristi facezie con cui si gingilla definite "vecchiette che fanno smorfie dalle morte finestre dei miei occhi" ), i giochi sul significante ( "un'amante adorante, odorante, vorticante, piroettante") e tutte le altre invenzioni stilistiche che hanno reso arduo il mio lavoro di traduttore non sono diverse da quelle dei libri di più libera invenzione di Cohen. Ma non ne turbano il tono dominante che è senza la commistione di toni e di temi che rende così vivi e inafferrabili i suoi romanzi quello di una tenera, dolce, inconsolata elegia.
Come ha detto Pagnol,
Cohen ha scritto un capolavoro sul più comune dei luoghi comuni, quello della grandezza dell' amore materno e della miseria di quello filiale. E per farlo ha, da un lato, evocato la figura di sua madre negli atteggiamenti più comuni e nelle manifestazioni più umili e veritiere del suo amore sublime, dall'altro denunciato la propria insensibilità, l'ingratitudine, la distrazione, l'indegnità sua e di tutta la razza dei figli. Soprattutto ha dato voce al senso di irreparabilità che la morte assegna a tutte le colpe, al peso di insospettata gravità che dispensa anche a quelle più veniali. Per questo rimorso ha trovato la straordinaria definizione di "peccato di vita", un peccato che accomuna tutti gli umani ma non per questo li rende meno colpevoli. Agli occhi del figlio affranto nessun figlio dell'uomo merita assoluzione. Al massimo come già gli aguzzini di A voi fratelli umani in quanto "futuri cadaveri" può aspirare alla commiserazione a cui hanno diritto tutti i "fratelli umani", quelli dolenti che sanno e quelli tronfi e dissennati che riescono a dimenticare che "i peccatori vivi diventano presto dei morti offesi".

Dettagli prodotto

  • Editore ‏ : ‎ Rizzoli; 4° edizione (1 ottobre 1992)
  • Lingua ‏ : ‎ Italiano
  • Copertina flessibile ‏ : ‎ 176 pagine
  • ISBN-10 ‏ : ‎ 8817672823
  • ISBN-13 ‏ : ‎ 978-8817672825
  • Peso articolo ‏ : ‎ 454 g
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Recensione migliore da Italia

Recensito in Italia il 11 marzo 2022
Deludente. Il tema affascina sempre ma è il soliloquio del solito maschio insopportabile è pieno di sé